Lorenzo Suding racing diary #20: dai che così posso solo migliorare!
Maribor. Ho deciso di organizzarmi da solo questa volta. Niente meccanico, niente compagno di squadra, niente, nessuno. Solo io, un gazebo e una bici. Con lo Scudo arrivo con un paio d’ore di anticipo, come sempre. Piazzo il mio nuovissimo gazebo GT a fianco alla macchina e martello un paio di picchetti nel prato morbido del camping quattro stelle del Pohorje, a Maribor. Becco un po’ di gente e vado a cena con Marcel Beer.
Giovedì mi sveglio alle 5.30 con un corvo che urla sotto lo Scudo e la pioggia che martella sulla lamiera… Mi vesto metto l’acqua a bollire e mi bevo una tazza alta di instant coffee sotto il gazebo guardando le piste da sci del Pohorje in una nebbia misteriosa. Mi butto sul letto e mi riaddormento guardando le email, per svegliarmi con la musica accesa alle 11. Faccio l’iscrizione mi guardo la pista a piedi e non è cambiato quasi nulla. Solo le radici sono piu numerose e la pietraia e più lenta. Porto l’ammortizzatore da Fox, mangio una carbonara e vado a letto.
Venerdì sono nell’ovovia nuova, con Nick Beer e Cédric Gracia, parliamo di belle cose come interventi chirurgici e dolori alla schiena. In bici mi gaso un po troppo e casco quattro volte. In prova cronometrata faccio due run. Uno intero che mi segna un tempo buono, e un secondo fermandomi a guardare qua e là.
Di sera ho problemi meccanici da risolvere e non c’è tempo per un altro giro sulla pista a piedi.
Faccio per tornare al camping: vedo lo Scudo e niente gazebo. Mi avvicino e vedo tipo come una catastrofe che si vede al telegiornale quando è passato un uragano. Con le mani nei capelli butto bici e casco a terra e per un attimo rimango pietrificato. In più sento una goccia d’acqua che mi cade sulla spalla. In automatico mi si attiva l’istinto di sopravvivenza, prendo gli attrezzi e smonto tutto in un attimo. Prendo il telo del gazebo e lo tiro sopra lo Scudo, prendo due tubi e due cinghie, improvviso un tetto e lo lego alla ringhiera. Con tante di quelle bestemmie – e giusto in tempo, prima che inizi a piovere sul serio – finisco di costruire una delle più grandi zingarate mai viste in coppa del mondo. Cena, doccia, letto…
Dormo come un bambino dalla fatica che ho fatto, e mi sveglio ad un’ora dalle prove. Guardo fuori, piove. Faccio con comodo, tanto con sta pioggia se mi alleno troppo mi prendo solo un raffreddore. Mangio il muesli e bevo il caffè sotto lo straccio di tenda che mi è rimasto. “Sono questi i momenti che quando sei vecchio racconterai ai tuoi nipoti“, pensavo…
Preparo tutto, prendo casco e zaino e spingo la bici tenendo con l’altra mano un ombrellino. In pista, faccio un giro preciso. Non mi divertivo cosi tanto sul bagnato da un bel po’. Dopo una run così ti torna tutta la voglia e la motivazione che perdi dopo aver vissuto una giornata misera come quella di ieri. Con un sorriso in faccia mi preparo per la qualifica. Vado su con una mezz’ora di anticipo e mi scaldo facendo tre volte una stradina in salita. Pioviggine perpetua. Ormai è diventato un mondo d’acqua. Ero caldo e gasato, scendo in partenza. Preparo la maschera, faccio il mio piccolo rituale da pugile spastico ed è ora di dare gas.
Mi butto in pista mi sento bene e rilassato. Quasi sicuro della pista. Il primo bosco lo faccio senza errori ed esco sul prato saltando nell’aperto e pedalando. Curva a destra aperta, poi a sinistra ancora aperta in un canale poco profondo. Dal nulla la gomma anteriore esce dal canale e la bici va di traverso, la tengo in derapata ma poco a poco il posteriore mi sorpassa e sono a terra col ginocchio sinistro che scivola nel fango. Mi alzo e sento il ginocchio instabile. È finita.
Quanto la odio quella sensazione. Succede così velocemente che pensi di essere ancora in tempo, ma dentro di te sai che non puoi più cambiare niente. Scendo lungo la strada sterrata che mi porta al camping senza salutare o guardare nessuno, lavo la bici, e inizio a buttare tutto nello Scudo. Mi cambio e guido fino al campo gara. Cerco Martin “the masseur”, il fisioterapista inglese che cura tutti i ragazzi. Lo trovo e mi accoglie nel suo studio ambulatorio nel tendone Evil racing. Mi dice che sembra il crociato, mi dà una fascia di neoprene e due pillole. Per incoraggiarmi dice «posso anche sbagliare!», e mi manda via senza accettare un soldo. Grande Martin. Saluto quelli che incontro e gli auguro buona fortuna.
Prendo lo Scudo e vado via: sono le 15.15. Mi fermo una volta al benzinaio faccio il pieno e prendo due Red bull e un panino. Arrivo a Pila alle 10.30 al pub di Tasha dai miei amici del team Black Arrows, che avevano organizzato un weekend di downhill e freeride con risalite, festa e concerti. Mi tirano su il morale. Fabien Gontier mi aiuta a scaricare tutto nel garage. Gli presto la mia bici per girare domenica e sul numero di gara faccio una grossa croce nera.
Le gara non sono belle, sono dure. Ma nei momenti difficili bisogna ricordarsi perché uno le fa: la mia ragione è la gloria. Anche se è piccola, bisogna passare un mare di merda per raggiungerla. Ma una volta che l’assaggi, per quanto possa sembrare una cazzata, passeresti volentieri da capo per tutte quelle sofferenze per riprovarla.
Un ringraziamento speciale a Claudio Conte per avermi dato supporto morale venerdì e sabato.
Link
Le puntate 2009 del diario.
Le puntate 2010 del diario.
Lascia un commento