Lorenzo Suding racing diary #11: alla ricerca del run perfetto
Sono di nuovo in ritardo con questo diario e non ho nessuna scusa, visto che siamo stati in un bellissimo hotel chiamato Alpina a Kranjska Gora, che aveva un wireless strepitoso. In nazionale per me è come essere in una vacanza benessere, se escludiamo tutti i lividi e i graffi… Non mangio mai cosi tanto come in nazionale. Insalata, primo, secondo, dessert e anguria. Dopo cena si va a fare il briefing con i filmati dell’allenamento, si fanno due risate di come sembriamo in bici e ci divertiamo con battute sarcastiche di quanto (non) andiamo forte. Con la pancia ancora piena della cena esagerata si va a nanna sereni e contenti… Il nostro lavoro parte dalla cima della montagna. Il venerdì si fanno i primi giri in bici dalle 10.30 alle 15.45. Io ho fatto 5 giri un paio da solo, un paio con Gamby, Elias e Milivinti. La pista era nuova fino all’uscita del primo bosco, da dove sono partiti i master, e poi mancavano tre boschetti ripidi con tante belle radici. Tra un bosco e l’altro c’erano dei rettilinei, saltini, saltoni, ponti, sponde veloci e tante gioia di pedalare.
Giorno uno passato bene, senza crash e tutti contenti e ansiosi di vedere i filmati per ridere un po’ e scambiare linee e traiettorie. Siamo andati tutti a letto con la pancia contenta. Sabato era il giorno della seeding race. Alla fine, non era né una qualifica né una prima manche, perché domenica l’ordine di partenza era uguale. Gare strane queste… Quindi timed trial…
Di mattina presto prove libere dalle 8 fino a mezzogiorno. Cercavo di seminare Milivinti ma non mollava. Nel terzo giro Gamenara mi convince ad usare la sua telecamere sportiva digitale per studiare bene il mio andamento sulla pista. Tentativo destinato al disastro… un tuffo nella ghiaia alla seconda curva, mi sono alzato senza bestemiare spolverandomi un po’, due passi indietro e sono ripartito per staccare la mano sinistra dalla manopola nel pezzo piu ripido del primo bosco sulle mie amiche radici, non cadendo ma quasi, poi altri due “quasi” nelle buche scavate da poco. Sono entrato in un albero, per fortuna col materasso. Sono ripartito, ora bestemiando, fino al ponte di legno: saltandolo mi ha portato un po’ lungo e un po’ a sinistra, atterrando con metà gomma fuori ponte e l’altra metà sopra mi sono salvato per un pelo da una gita nello spazio e da un bel casco nuovo… mi stavo per piantare profondamente nel prato.
Nel timed trial volevo dare il massimo, per poterlo analizzare dopo, cosi in gara vado tranquillo. Al cancelletto, al secondo “BEEP” mi butto. Suggerimento: il prossimo paragrafo, leggetelo veloce, così è come vederlo da dietro la mia mascherina. Ahaha!
Partito pedalando, nelle prime due curve buttavo giù i piedi perdendo tanto tempo in derapata, entrato nel bosco con cautela ce l’ho fatta senza difficoltà, ma easy. Poi il secondo l’ho fatto a manetta con l’entrata con la sponda che ti butta in una contropendenza di radici attorno ad un albero e giù in un ripidino con altre radicioni. Due altre curve nell’ombra e poi flash nell’aperto gasato su sponde durissime, saltino, sponde e due altre sponde rollercoaster che ti buttano a mille nel penultimo bosco su radici molto bastarde ma se non ci pensi è meglio. Sull’ultimo tappeto di radici sento le gomme scivolare a destra verso un tronco bastardo, lascio i freni e la bici si ricompone, freno all’ultimo per prendere l’ultimo centimetro di ponticello rimasto, che ti porta di nuovo nell’aperto a pedalare in curva verso il salto del ruscello per dopo pedalare serio in salita. Se veramente vuoi giocartella ti fai del male…
Due curve sul prato con due gobbe da 50 all’ora poi rettilineo che finiscono le marce, se sei Nick Beer, poi due curve su ghiaia nera attorno ad un pilone della seggiovia. Prima di buttarmi nell’ultimo boschetto, i miei polmoni stanno per scoppiare… Staccata secca su brake bump di polvere bianca per poi buttarsi in curva secca a sinistra con un sottosterzo stupido, perdo un po’ di tempo, tre altre curve poi rettilineo su gobbe poco ritmiche con radici e ceppi che mi fanno un po’ ralentare. Che fatica, due saltini e sono fuori dal buio sul prato bucatissimo che alzando la testa per guardare quanto manca sembra eterno, che male alle gambe. Mi siedo un attimo quando ho preso un po’ di velocità, anticipo destra, poi slalom sinistra-destra per dare due colpi di pedale per portare i miei 100 chili (io e la bici) sul ponte di legno (fatto per attraversare la pista di bob), saltino, due curve menando e finalmente il traguardo. Chiudo nono, eguagliando il tempo del francese Joris Bigoni. Pensavo di aver fatto abbastanza cagare, ma invece ero sulla giusta strada. E daje!
Di sera, doccia, internet e cena. Poi alle 9.00 il briefing con Antonio Silva.
Tutti gli azzurri hanno fatto versi e facce da shock guardando la mia discesa con la head-cam, dicendomi che sono pazzo. Il segretario Mauro Centenaro, che ha voluto guardare la parte col salto del ponte di nuovo in slow motion stupito dal rischio. Antonio (il CT) godeva, capendo la velocità con cui buttavo sul tavolo i miei jolly infiniti. Io non mi divertivo, anzi mi vergognavo un po’ mentre lo guardavo. Voglio comunque farvi capire un po’ la mia mentalità e il perché di questi run rischiosi, prima che andiate in giro a dire che sono uno scemo che si allena a caso. In prova, sopratutto il secondo giorno, conoscendo la pista, voglio provare a sbloccarmi e spingere al punto che vedo cosa sono capace di fare e cosa no. Conoscendomi bene di jolly ne ho da buttare e li uso volentieri.
Race Day
Tutti a colazione erano sereni, ma come tutte le domeniche di gara si sentiva l’adrenalina che girava nell’aria. Ho preso la bici e sono andato direttamente alla seggiovia da solo, volevo un po’ di tempo con me stesso: non avevo le idee chiare dopo il kamikaze run di ieri. Partito tranquillo, ho ripassato le linee. Nella seconda prova mi seguiva Elias Somvi. Ci siamo fermati due volte per parlare di passaggi in cui rilancio e ritardo a frenare. Ripartiti nella parte aperta veloce con il salto delle gobbe ho preso il canale interno del salto e il mio posteriore scivolava verso destra come la coda di un pesce. Salto con il postriore della GT che mi vuole sorpassare scalciandomi in avanti, cerco di buttare indietro un po’ di peso per il crash landing! Fondo corsa per entrambe le sospensioni e braccia nell’atteraggio che non mi lasciava più ammortizzare l’altra gobbetta schiacciandomi col muso e la spalla nel prato. Un attimo nello spazio trascinando la mia bici sul lato della pista barcolando. Mi chiede Elias se sto bene, io gli rispondo di sì, e mi siedo sulla fettuccia. Dopo un minuto mi riprendo e gli dico che possiamo ripartire, ma mi dice che non posso con la ruota posteriore piegata cosi. L’ho tolta un attimo e saltandoci sopra con le gincchia si raddrizzava abbastanza per star dentro il carro… rimontato e ripartito per provare una linea nuova nell’ultimo bosco dove c’era il nostro collaboratore tecnico Alan Beggin. Sono passato bene, ho pensato dopo, nonostante l’otto che facceva il cerchio. Magari era quello che mi faceva schivare i ceppi così bene.
Arrivato al gazebo, avevo 4 ore per cambiare il cerchio, mangiare, mettere a posto la bici e mettermi in race mode! Grazie al meccanico Stefano che mi ha cambiato il cerchio scroccato da Ben Reid, alle 12.30 ero pronto e avevo ancora un’ora da aspettare per salire con Milivinti, che partiva due posizioni prima di me. Lui era il 12, io il 10.
Arrivati in partenza avevamo 30 minuti per scaldarci e fare stretching. Su c’erano Matteo il massaggiatore e Maurizio uno dei due meccanici, che ci aspettavano con due rulli pronti all’ombra, che il sole era micidiale. Iniziamo a scaldarci, chiedendo ogni tanto alla radio a Silva i tempi fatti finora. Dieci minuti prima del via ci avviciniamo alla start line. Tutti zitti, tutti concentrati. Parte Milivinti molto caldo, poi un portoghese. Partito lui avevo due minuti per stringere casco e mascherina alla testa. Gli istanti prima dei beep guardavo i primi metri della pista. 10 secondi, luce verde let’s go! Prima curva di ghiaia scivolo e sento un bang! Bucato? Vado avanti ma non sento la gomma giù. Entro nel bosco con i piedi sganciati, perdo un pochetto riagganciandomi, poi liscio fino all’uscita con la curva di ghiaia in contropendenza dove rallento tanto per non uscire della fettuccia. Tiro due parolaccie e mi concentro per l’entrata di sponda del secondo bosco, mi lancio sulle radici attorno all’albero più veloce che mai e mi gaso. Esco dal bosco a mille, sponda, pedalo e da lì fino al penultimo bosco tutto fast, poi esco e salto il ruscello meno alto, poi il salto delle gobbe, lo faccio lento perché sento il posteriore molto nervoso, e mi accorgo di aver dimenticato di tolgliere pressione dopo aver rimontato la gomma… che scemo. Salto giù senza triplare le gobbe, compressione in curva salto e rettilineo pedalando ancora! Guardo un attimo il carro posteriore, magari si è svitato il perno, sembra a posto. Mi lancio nella due ultime curve di ghiaia, scalo marcia, faccio una pedalata per farla entrare, freno e mi butto indietro per la curva secca a sinistra. Ho fatto bene a frenare tanto è piu distrutta che mai. Sgancio il piede sinistro, bestemmiando cerco di pedalare e rilanciare, clack, riagganciato, due altre curve, poi nel rettilineo cerco di tenere un po’ di ritmo con le ultime energie che ho. Salto due buchini per uscire dal bosco. Sento i kiwi Wyn Masters e Brook McDonald che tifano violentemente alla neozelandesee “iuuuuuuuuuuu go pedal“! Mi gaso e meno come un scemo, col casco che diventa sempre più pesante, e guardo giù sulla gomma davanti. Fa tanto male sto pezzo. Vedo il ponte, due pedalate, scalo, freno, anticipo, destra, curva sinistra, destra, ponte. Giù dal ponte e mi costringo a pedalare ancora in piedi fino alla fine anche per non fare una figuraccia con Antonio e per non essere deluso dopo. Faceva tanto male. Arrivato, ho sganciato con difficoltà e mi appoggio con le mani sulla sella e la testa sopra. Non pensavo neanche al tempo che ero sicuro di aver fatto cagare. Invece ero terzo dopo Giordanengo e Thirion. Ero già ottavo sicuro. Uno dopo l’altro sono scesi ed ero ancora terzo! Viene giu Nick Beer, e sapevo che vinceva, conoscendolo e avendo corso assieme tante volte. Grande Nick ci bastona e dà 5 secondi al secondo!
La nazionale era contenta e io non potevo essere deluso dal mio run. Si vede che a volte nonostante vieni giù in lotta con la bici invece di trovare il tuo flow, riesci a salvare il tuo run faccendo tanta fatica. Per me non era divertente perché giravo in un modo un po’ sforzato, cercando di correggere gli sbagli: il fatto resta che cerchiamo sempre il run perfetto, ma non lo troviamo mai.
Adesso è lunedì mattina, sono a Torino, nel mio vecchio appartamento da solo e tra poco esco per fare colazione al bar di fronte. Ciao e wuay!
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La foto è di Luca Benedet.
Le puntate precedenti del diario di Lorenzo: #00, #01, #02, #03, #04, #05, #06, #07, #08, #09, #10.
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