10 domande a… Simon Cittati
Road manager del team Playbiker – Iron Horse, che per il 2009 sta preparando molte sorprese, tra conferme e nuovi arrivi. Fotografo e giornalista per il mensile Mountain bike world e per il britannico Singletrack magazine.
Simon Cittati da un paio d’anni gira il mondo tra world cup, mondiali e gare prestigiose, vivendo il mondo gravity dall’interno e cercando nel contempo di raccontarlo, per il proprio team e per il grande pubblico. Vera anima del team Playbiker, che secondo il team manager Romano Favoino vive grazie all’impegno al cento per cento di Simon e di Tiziano Mammana, Cittati si racconta attraverso le ormai canoniche “10 domande”, facendo un bilancio della stagione dall’interno del mondo del downhill, nonostante da anni non sia più un rider.
1. L’evento più bello della stagione
Lo so che può sembrare una risposta troppo vaga, ma non saprei dire quale tra le tappe di coppa del mondo di quest’anno sia stata più bella, dal punto di vista agonistico: ogni volta abbiamo assistito a dei grandi duelli sul filo dei secondi con tante sorprese. Ma se dovessi scegliere un evento su tutti direi Schladming, quando abbiamo ottenuto i migliori risultati di sempre come team con Floriane Pugin seconda e Nathan Rankin dodicesimo, piazzandoci al terzo posto nella classifica per team dell’evento e terminando la stagione al settimo posto nella classifica generale a squadre. Nessun team italiano era mai arrivato così in alto.
2. La giornata peggiore
In gara, Fort William. Un inferno di forature. Prima Floriane, poi Adam (Brayton, ndr), via via tutti gli altri. Non sapevo proprio cosa dire, sono tornato al paddock e sono stato seduto da solo, in silenzio, per quasi mezz’ora. Poi abbiamo iniziato a smontare tutto…
Fuori gara, il giorno in cui ho realizzato che purtroppo alcune persone non meritavano tutto cià che io, Romano e il resto del team avevamo dato loro, e tutta la fatica spesa per fargli fare una stagione al top.
3. La gara e il percorso più bello del calendario italiano
Pila, su tutti. E’ la Fort William italiana, l’unica vera pista da coppa del mondo aperta ogni stagione e servita da una risalita meccanica. E’ stata la sede ideale per gli italiani quest’anno e non vedo l’ora che torni a ospitare una tappa di coppa. E poi una menzione d’onore a Collio, il percorso era davvero epico, lungo e completo, è stato un peccato non veder gareggiare gli agonisti su una pista così.
4. Il tuo idolo di tutti i tempi, nel mondo del downhill
Vivendo in questo ambiente è difficile avere “idoli” in senso assoluto, conosci le persone nella loro normalità e ti rendi conto che sono tutti umani. Posso dirti che per me è stato emozionante conoscere un pò più a fondo Corrado Hérin quest’estate, quando iniziai a fare downhill nel 2000 avevo la Sintesi Bazooka, la stesso modello con cui lui vinse il titolo di coppa nel 1997. Sam Hill, pur se criptico e riservato, mi affascina per il suo stile unico e per la sua determinazione. Un altro dei miei preferiti è Josh Bryceland, la scorsa stagione abbiamo passato qualche giorno insieme per filmare la sua parte in Earthed 5 ed è un ragazzo d’oro che avrà sicuramente un gran futuro. Poi Peaty (Steve Peat, ndr), perché è semplicemente una leggenda, Greg Minnaar perché è un grandissimo professionista. Mi fermo qui ma potrei andare ancora avanti…
5. Come è cambiato il mondo del downhill da quando sei nell’ambiente?
Quando iniziai a fare gare, nel 2001, c’era Corrado Hérin col suo camperone Sintesi, Bruno Zanchi con Bike O’Clock, Gianluca Bonanomi, gli Ancillotti e pochi altri, il resto era tutto molto amatoriale.
Ho smesso di frequentare l’ambiente fino al 2004 e credo che la “rinascita” del downhill in Italia sia iniziata lo scorso anno: da una parte abbiamo team e strutture di stampo sempre più professionistico, dall’altra una buona partecipazione di amatori e appassionati. Questi due elementi non devono essere messi in contrasto, così come sta provando a fare qualcuno, ma devono coesistere al meglio per avere un circuito nazionale che sia veramente degno di questo nome. Abbiamo le location, abbiamo gli organizzatori, mancano però gli sponsor, il pubblico e una copertura mediatica adeguata. Speriamo che arrivino, ma bisogna lavorare duro, come stanno facendo i team più importanti che cercano di avere un immagine e un’organizzazione professionale. E’ inutile lasciarsi prendere dalle invidie e rinchiudersi nel proprio guscio non facendo altro che citare glorie passate, bisogna guardare avanti a investire a 360 gradi, in immagine e anche in sostanza, che sono però due cose che vanno di pari passo. Quale azienda secondo te investirebbe in un circuito i cui paddock assomigliano a un accampamento di camper, senza gazebo e area expo dove il pubblico può girare per vedere gli atleti, le bici e, cosa non meno importante, gli sponsor?
6. Quale ruolo pensi dovrebbero avere i media in questo sport?
Un ruolo di primo piano, perché il downhill, come tutti gli action sports, vive di immagine: foto e video sono il nostro pane quotidiano ed è giusto che lo siano. Mi piacerebbe vedere i media “ufficiali” sempre più autorevoli e specializzati, che sappiano veramente fornire qualcosa di più nella loro copertura di eventi, gare e manifestazioni, mentre i media partecipativi, come blog, forum e siti vari secondo me sono un bellissimo punto di incontro e un bel modo di condividere la nostra passione ma non possono, per forza di cose, essere autorevoli come i media gestiti da professionisti. Purtroppo nel nostro paese questo si fa fatica a capirlo, e a volte basta che qualcuno sbatta in piazza un suo pensiero per sentirselo poi citare come “vangelo”.
7. Che cosa serve per far crescere il movimento?
A livello di partecipazione generale bike park sempre più belli, accessibili e sicuri con flotte da noleggio di qualità. E come bike park intendo anche spot invernali con risalite in furgone, senza dimenticare che nel nostro paese ci sono resort con impianti sciistici in cui nevica ormai pochissimo e che potrebbero rimanere aperti alle bici da aprile ad ottobre. Non guasterebbe avere anche dei “maestri” di mountain bike specializzati nella discesa, così come avviene per lo sci.
Per le gare, maggiore professionalità e meno invidie tra i grossi team, e onestà tra chi partecipa per fare il risultato e chi solo per divertirsi. Un calendario ben strutturato che permetta di scegliere tra gare di tutti i livelli, da regionale a internazionale. Degli sponsor che investano nel circuito, e magari, ma è un sogno, una società privata che prenda in mano l’organizzazione di tutto il circuito nazionale, così come avviene in Gran Bretagna.
8. I tuoi obiettivi per il prossimo anno
Crescere, progredire, migliorare e arrivare sempre più lontano: quello che sto facendo da quando sono entrato in questo mondo, sperando di poter continuare così per molto tempo. Lavorare con la propria passione non è da tutti e voglio fare di tutto per cercare di mantenere questo privilegio.
9. Un giovane emergente su cui scommetteresti per il futuro
I nostri junior sono tutti bravissimi ragazzi e meritano tutto il mio rispetto, ma con lo stesso rispetto mi sento di dire che non c’è nessuno che abbia dimostrato di avere veramente qualcosa in più che lo farà emergere ad alti livelli. Credo che il lavoro debba iniziare ancora prima, come sta facendo Roberto Vernassa con suo figlio Gianluca. Quello è il tipo di giovani che potrebbero emergere.
10. Il 2008 verrà ricordato per…
Il mondiale in Val di Sole, le polemiche dannose e inutili, il ritiro di Alan Beggin e, spero, per i risultati del team Playbiker che ha portato un team italiano ai massimi livelli in coppa del mondo!
Ah, dimenticavo, anche per le epiche pizze sfornate dal forno a legna di casa Franco ad Aosta: le ha assaggiate anche Sam Hill!
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Il sito di Simon Cittati.
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