Intervista ad Alberto Ancillotti: il conflitto tra immagine e sostanza nel downhill italiano
Durante il campionato italiano di downhill, svoltosi a Pila sabato 19 e domenica 20 luglio, abbiamo approfittato per parlare qualche minuto, tra una riparazione, una riunione tecnica con i loro atleti e un meeting con gli altri team manager, con Alberto e Tomaso Ancillotti, che sono probabilmente la realtà del downhill italiano più conosciuta all’estero, nonché una tipica azienda familiare di successo. Soprattutto Alberto è indicato dalla maggior parte dei piloti e i team manager come il “faro” nelle battaglie contro il recente cambio di regolamento del circuito italiano e per un dialogo continuo e un confronto più serrato con la Federazione, anche se alle riunioni dei team manager le sue posizioni sono sostenute, anche in maniera più veemente, da un gran numero di altri responsabili delle squadre.
Ancillotti, partiamo dagli aspetti positivi: Marco Bugnone e Marco Milivinti stanno andando fortissimo in questa stagione.
Sì, e siamo molto soddisfatti. Abbiamo messo tutte le nostre forze per farli arrivare a questi livelli: “Bugno” è con noi da diversi anni, Milivinti da meno tempo, ma siamo molto contenti di come sta andando in particolare questa stagione. Anche all’italiano, Bugnone è andato fortissimo; purtroppo il “Mili” ha forato in qualifica ed è stato penalizzato dal regolamento della finale, che è inspiegabilmente diverso da quello del circuito nazionale: partire con davanti a sé tre esordienti andava evitato, anche per garantire la sicurezza in pista di tutti. Ma con gara secca in manche unica, serve che le cose vadano tutte per il verso giusto.
E’ un vero peccato, per tutto il downhill italiano, che Milivinti e Bugnone non riescano a partecipare alle due tappe canadesi di coppa del mondo: quali sono le motivazioni di questa scelta?
Un po’, senz’altro, è colpa nostra: non abbiamo un budget sufficiente per poterli mandare a Mont-Sainte-Anne e Bromont. A questa cosa si sarebbe potuto ovviare con una politica un po’ più oculata della Federazione, che ha preferito spendere i suoi soldi in un altro modo. Dopo i bei risultati dello scorso anno in coppa e dopo i successi di quest’anno pensavamo che Milivinti potesse essere messo in grado, almeno qualche volta, di andare a fare la coppa con la nazionale, come succede per altri atleti. Ma ripeto, la maggiore colpa è nostra, visto che non abbiamo la disponibilità di sponsor “finanziari”, ma solo sponsor di mezzi tecnici: sono trasferte molto costose, e gli atleti erano a conoscenza delle nostre difficoltà già ad inizio d’anno. Speriamo che per l’anno prossimo le cose possano cambiare, anche senza contare sull’aiuto della Federazione.
Non avete mai pensato di creare un “trade team”?
Bisogna pensare un pochino a che cos’è un trade team: praticamente l’UCI ha creato queste squadre per consentire ai piloti che non avevano punti di partecipare alle prove di coppa del mondo, cioè un sistema, in parole povere, per spillare soldi (1800 euro) come un’onorificenza acquisita, non conquistata sul campo. E’ un sistema per dare visibilità ai nomi dei team dei piloti di alta classifica e per far partecipare atleti di team che non avrebbero punti: credo sia meglio conquistarsi la visibilità essendo nelle parti alte della classifica, anche senza avere un trade team: meglio la sostanza della sola immagine. E in questo Ancillotti, avendo lanciato quasi tutti i maggiori talenti italiani degli ultimi anni, è sicuramente un punto di riferimento.
Voi avete una gestione “familiare” e diretta, altri team preferiscono cercare sponsor e avere una gestione più manageriale: la vostra è una scelta o è una necessità?
C’è da dire che noi siamo un po’ anomali, in tutto: pensiamo alla nostra immagine e la creiamo più con la validità del mezzo e con l’assistenza alle gare che con gli sponsor. Siamo una ditta molto piccola, ma una volta, quando facevamo moto, avevamo un’industria e dunque so cosa significhi: questa volta abbiamo preferito rimanere piccoli, perché si affrontano meglio tutte le possibili difficoltà del mercato e perché possiamo fare un prodotto più curato, artigianale se vogliamo, personalizzato. Cosa che se sei grande non puoi fare. Quello che ci gratifica è che, pur essendo anomali, riusciamo a portare a casa degli ottimi risultati. E credo che ci siamo creati un’immagine molto superiore alla produzione che facciamo.
Un’opinione su Pila: merita nuovamente di ospitare la coppa del mondo, anche alla luce della vostra lunga esperienza internazionale?
Merita veramente, sia per il posto, sia per il percorso.
(Si inserisce Tomaso) Anche quando hanno ospitato la coppa qui, è stata una “signora coppa”. Paragonandola, chessò, alla tappa di Andorra di quest’anno, che è stata qualcosa di vergognoso, sia per la pista, sia per l’organizzazione, Pila è un paradiso.
Quali sono i principali problemi dei rapporti tra i team e gli atleti e la Federciclismo?
Voglio fare una premessa: i problemi di oggi con la Federazione sono molto minori di quelli che abbiamo passato anni fa, a metà anni ’90.
Sono i problemi un po’ di tutti gli sport con la propria federazione: qui mi sembra che ogni tanto si superi un po’ il limite, ma qualche problema è inevitabile perché le federazioni sono un organismo burocratico, un po’ distanti dalle esigenze di chi vive il mondo delle gare. Negli ultimi tempi i problemi sono nati proprio per questi motivi: le cose potranno mettersi a posto in fretta se la Federazione deciderà di ascoltare un pochino anche la voce dei team e dei piloti.
Su MTBnews.it seguiamo la questione da un paio di mesi: l’idea che ci siamo fatti è che il problema della Federiciclismo sia maggiormente la comunicazione delle decisioni prese e delle relative motivazioni piuttosto che la bontà delle scelte. Secondo lei, quello della Federazione è un problema di immagine o di sostanza?
In questo caso il problema è la sostanza: le ultime decisioni prese sono secondo noi sbagliate. Soprattutto, è da notare che molte persone che vengono dall’ambiente delle squadre e dei piloti, inizialmente d’accordo con noi, una volta inquadrate in un organismo burocratico come quello federale non riescono più a spiegarsi come facevano prima.
Quando sarà organizzato un comitato dei team manager o dei piloti, quale sarà il primo argomento da affrontare?
La prima cosa da capire è che questo sport vive di passione, e deve dare delle soddisfazioni a chi lo pratica: uno sport che costa abbastanza, che diventa sempre più difficile da praticare per i costi crescenti dei viaggi e dei mezzi. Questo si ottiene con un circuito di gare regionali e nazionali che diano soddisfazione, con i cronometristi che non facciano errori, con dei regolamenti che gratifichino gli atleti nelle loro categorie, che sono differenti. E soprattutto, non considerare i “non agonisti” come una merce che se c’è o non c’è è la stessa cosa: sono proprio gli amatori che hanno fatto crescere sinora questo sport.
Lascia un commento