Intervista a Romano Favoino: «Per far crescere il movimento sono fondamentali i giovani»
In quale località in Italia si possono trovare il campione del mondo di downhill, un team professionistico al completo, un fotografo e un videomaker di fama internazionale, il tutto nello stesso week end? A Pila, e dove sennò.
La località valdostana aveva ospitato il mese scorso Sam Hill e Brendan Fairclough per una sessione di allenamento di tre giorni sul tracciato Pila – Aosta, e il campione del mondo australiano ha scelto nuovamente la località nella conca sopra il capoluogo regionale per preparare al meglio, e in tutta tranquillità, l’appuntamento iridato dei prossimi giorni, in Val di Sole.
Mentre i rider del team Playbiker sfoggiano la nuova livrea delle bici, con Hill impegnato in una sessione di cross country per rifinire la preparazione, con Fraser Britton di TranscendMagazine.com e Aaron Lutze di Freecaster.tv che, dopo qualche scatto e qualche filmato, prendono le loro bici e si lanciano sui sentieri di Pila, facciamo una lunga chiacchierata con Romano “Rommel” Favoino, responsabile di Iron Horse Italia srl e team manager della squadra Iron Horse – Playbiker (nella foto a destra, impegnato in una discesa).
«A Commezzadura Iron Horse Italia porta cinque atleti, e saremo il marchio più presente nella nazionale azzurra, con Alan Beggin, Elisa Canepa, Luca Bertocchi, Lorenzo Suding ed Edoardo Franco nella nazionale italiana e tra i più rappresentati nel mondo – esordisce Favoino – In particolare avrò sette atleti del team, oltre a Bertocchi, Suding e la Canepa, i neozelandesi Mike Skinner e Nathan Rankin, lo junior statunitense Geoff Ulmer e la francese Floriane Pugin: non possiamo che essere soddisfatti».
Ho saputo che hai partecipato ad un meeting tra i top team Uci, ad Andorra…
Sì, l’Uci ha convocato Santa Cruz Syndicate, Iron Horse – Monster Energy, Animal – Commençal, 23 deegres e me. Segno che stiamo facendo un buon lavoro e siamo ormai tra i team più rappresentativi a livello internazionale. E’ importante avere peso nelle decisioni. Ti faccio un esempio: ad Andorra, Cédric Gracia non si è presentato in partenza in semifinale, e anziché fermarlo, lo hanno fatto partire per ultimo, soltanto perché era il corridore di casa. Noi avevamo Mike Skinner 81esimo, con Gracia fuori sarebbe entrato in finale: per il team è un danno economico.
Avete ricevuto critiche perché avete voluto in squadra molti stranieri. Siete ancora convinti di questa scelta?
Noi siamo un “Uci trade team“, letteralmente un “team commerciale”, viviamo di questo. La nostra è una squadra il cui obiettivo principale, oltre ai successi sportivi, è lo scopo di lucro, e non ci si deve vergognare affatto a dirlo. Ovviamente il team arriverà al pareggio in qualche anno, noi personalmente non ci guadagneremo mai, ma gli atleti dovranno fare la stagione ai massimi livelli, sono tutti professionisti che stanno lontani da casa per cinque mesi l’anno, 24 ore su 24, e devono per questo avere i loro giusti ritorni. Se ci sono queste condizioni, il team funziona: possiamo dare spazio a qualche talento italiano, come succede supportando nelle trasferte Alan Beggin, e qualche giovane promettente, ma non possiamo certo pensare di portare in trasferta in Canada soltanto atleti italiani. Altrimenti torniamo a fare i dilettanti, scegliendo le gare a cui partecipare.
Con le aziende che ci sponsorizzano abbiamo degli obiettivi ben precisi.
Sam Hill è qui per la seconda volta in poche settimane ad allenarsi (nella foto sopra, a sinistra). Anche Micayla Gatto e Brendan Fairclough sono passati di qui per gli allenamenti. Come riuscite a portare grandi nomi come questi a Pila?
E’ il segno del nostro impegno costante nei rapporti umani: Pila ha dei tracciati bellissimi, è un posto tranquillo e Aosta è a due passi, è il luogo ideale per allenarsi, e anche Hill è voluto tornarci. Questa volta abbiamo portato con noi, ospitandoli, anche Fraser e Aaron, due dei migliori nel loro campo, le cui immagini di Pila faranno il giro del mondo. Già lo scorso anno siamo riusciti a portare molti stranieri a correre nel circuito italiano: si riesce ad alzare il livello anche in questo modo.
Venendo al tema locale che più ha fatto discutere negli ultimi mesi, ci ha lasciato di stucco la decisione della Federazione ciclistica di cambiare in corsa il regolamento del circuito italiano, dopo un inverno di discussioni per arrivare a quello attuale, parificando amatori e agonisti. Cosa ne pensi?
Sono d’accordo che sia sbagliato cambiare il regolamento in corso d’anno, ma se ti accorgi che una cosa non va, la devi cambiare, non puoi permetterti di aspettare fine anno: l’Uci ha cambiato il regolamento del podio, perché si è accorta che era sbagliato. Le squadre con gli atleti al quarto e al quinto posto, a Maribor, non hanno visto per la prima volta i propri atleti sul podio. Ad Andorra si è tornati al passato. Persino in Formula1 cambiano i regolamenti in corsa.
Condividi la decisione, quindi?
Il problema in Italia, per l’amatore, non deve essere il regolamento: quello c’è, e quello è indipendente da tutto. Il vero problema è avere dei cronometraggi certi e dei giudici all’altezza del compito che stanno svolgendo. Se la pista è bella, è messa in sicurezza, c’è un impianto di risalita, riesco a fare tutte le discese che voglio, pago il prezzo giusto e, non ultimo, riesco a divertirmi, il regolamento passa in secondo piano. Queste sono le cose che contano. Puoi avere il regolamento più bello del mondo, ma se vai a correre su una strada bianca senza curve e senza salti, con un impianto che ti fa fare due prove del percorso il sabato e con i tempi non certi… semplicemente non ti diverti.
Personalmente però capisco gli amatori che storcono il naso di fronte al cambiamento: la Fci aveva permesso di scegliere ad inizio stagione se tesserarsi come agonisti o come amatori, e i regolamenti diversi giustificavano la scelta, per qualcuno…
Gran parte degli amatori partecipano alle gare non certo per il regolamento, ma per poter girare su percorsi preparati e con risalita organizzata. Possono misurarsi con gli altri e con sé stessi, della classifica gli interessa relativamente. Gli amatori più forti fanno classifica, e avere due ranking separati era un non senso.
Alla maggior parte dei “master” interessa avere due giorni in cui divertirsi: il problema in Italia non è il regolamento del circuito nazionale, ma il fatto che manchino gare a livello locale, che quando i top rider sono in coppa del mondo permettano di andare a girare.
I circuiti locali sono quelli che occorre far crescere, ed è lì che si allarga il movimento amatoriale. Non certo con il regolamento più o meno giusto. Servirebbe che ogni tesserato, amatore o agonista, possa partecipare a 15 gare all’anno anziché a cinque. Perché in Inghilterra corrono a dicembre, hanno una winter series e in Italia iniziamo ad aprile e finiamo ad ottobre, quando in Liguria o nel sud si potrebbe correre tutto l’anno?
La necessità di un meccanismo di selezione per il campionato italiano è fondamentale?
A Caldirola (la prossima tappa del circuito italiano, ndr) ci ritroveremo con 500 iscritti, si riusciranno a fare pochissime discese e inevitabilmente qualcuno si lamenterà dell’organizzazione. Se si vuol fare crescere il livello, serve un circuito che proponga molte gare locali, che diano dei punti per partecipare alle gare nazionali e ai campionati assoluti, e che a loro volta diano punti Uci per la coppa del mondo, come in un sistema di vasi comunicanti. Lo stesso problema che abbiamo in Italia si sta avendo in coppa, con il fatto che per partecipare basta essere convocati in nazionale o essere iscritti ad un trade team, si arriva ad avere 300 iscritti, come a Maribor, di cui molti non hanno il livello adatto alla manifestazione. Le altre federazioni hanno dei meccanismi simili, che non hanno tarpato le ali al movimento, ma anzi lo hanno fatto crescere.
Gli amatori si sentono però delegittimati rispetto agli agonisti…
Il problema non sono le varie categorie master: ben vengano. Il problema è che in Italia il movimento non è sufficientemente diffuso a livello giovanile. Ogni 200 master, dovrebbero esserci 400 giovani (che non siano soltanto figli di atleti) e un migliaio di ragazzini che praticano BMX, come succede all’estero.
Ti faccio un esempio: Davide Don è un ottimo giovane, molto interessante. Ha il fisico per questo sport, però è friulano e resta tagliato fuori, perché per ogni gara deve fare 500 chilometri.
Se vogliamo dare un futuro a questo sport, dobbiamo dare spazio ai giovani: con i numeri che abbiamo ora non possiamo pretendere di ottenere risultati a livello internazionale.
Grazie per il tempo che ci hai dedicato, buon lavoro per il resto della stagione, e soprattutto in bocca al lupo per il mondiale.
Grazie a voi di MTBnews.it, state facendo un ottimo servizio di informazione: continuate così.
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